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Scopri le novità di Prometeo TV: edizione n° 44 del 5 novembre 2025

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Roma, 6 novembre 2025 – La Procura generale di Tripoli ha inviato nelle ultime ore al Ministero della Giustizia italiano un documento ufficiale sul caso di Khaled Almasri, il cittadino siriano morto in circostanze ancora oscure dopo essere stato trattenuto in Libia. Nel testo, visto da fonti giudiziarie italiane, le autorità libiche rivendicano la piena giurisdizione sull’indagine, sottolineando che “la competenza a procedere spetta a Tripoli”. Un punto che rischia di complicare ancora di più i rapporti tra i due Paesi, già segnati da tensioni diplomatiche e richieste di chiarimento.

Tripoli chiude la porta: “L’indagine è nostra”

Dal documento emerge che la Procura di Tripoli ha ricostruito le ultime ore di vita di Almasri, arrestato a Zawiya il 14 ottobre e portato nel centro di detenzione di Ain Zara. Secondo le autorità libiche, la morte è avvenuta “per cause naturali”. Ma la famiglia, che vive a Bologna da anni, parla di “torture e maltrattamenti” e ha chiesto alla magistratura italiana di intervenire. Nel testo inviato a Roma, la Procura libica ribadisce che “ogni ulteriore accertamento spetterà agli organi locali”, escludendo quindi qualsiasi collaborazione con l’Italia. Una presa di posizione netta che, secondo fonti del Ministero degli Esteri italiano, “non facilita certo la ricerca della verità”.

In Italia allarme e richiesta di chiarezza

La notizia del documento ha subito acceso le istituzioni italiane. Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha detto che “l’Italia continuerà a chiedere trasparenza e collaborazione”. Intanto, la Farnesina ha convocato l’ambasciatore libico per avere spiegazioni. “Non possiamo accettare zone d’ombra su una vicenda così delicata”, ha dichiarato un funzionario del Ministero degli Esteri. Nel frattempo, la Procura di Bologna – che aveva aperto un’inchiesta per omicidio volontario – si trova davanti a un muro: senza accesso ad atti e testimonianze dalla Libia, l’indagine rischia di bloccarsi.

Rapporti fragili e casi simili alle spalle

Non è la prima volta che un caso tra Italia e Libia si inceppa sulla questione della giurisdizione. Già nel 2022, la vicenda di un pescatore siciliano trattenuto a Misurata aveva mostrato le difficoltà di collaborazione tra i due sistemi giudiziari. Allora, dopo settimane di trattative, l’uomo fu rilasciato. Ora, con il caso Almasri, la tensione torna a salire. “Serve un accordo bilaterale più solido”, ha ammesso un diplomatico italiano che segue il dossier nordafricano. Ma al momento non si vedono vie d’uscita rapide.

Il dolore della famiglia Almasri: “Vogliamo verità”

A Bologna, dove la famiglia Almasri vive dal 2015, la notizia del documento libico è stata accolta con amarezza. “Vogliamo solo sapere cosa è successo davvero a Khaled”, ha detto il fratello maggiore, Ahmed, raggiunto al telefono nel primo pomeriggio. L’avvocato della famiglia, Giulia Rinaldi, ha annunciato che presenterà una nuova richiesta alla Procura italiana per far partire l’invio di osservatori indipendenti in Libia. “Non ci fermeremo finché non avremo risposte chiare”, ha spiegato la legale.

Cooperazione giudiziaria in stallo: il nodo da sciogliere

Sul tavolo resta il tema della cooperazione giudiziaria tra Italia e Libia. Senza un accordo formale – spiegano fonti del Ministero della Giustizia – ogni richiesta di rogatoria rischia di restare senza risposta. Nel frattempo, la comunità siriana in Emilia-Romagna si è mobilitata con una veglia davanti alla Prefettura di Bologna, chiedendo “verità e giustizia per Khaled”. Solo allora, forse, si potrà parlare di una vera svolta nel caso Almasri. Per ora, però, restano solo domande senza risposta e un fascicolo aperto su entrambi i lati del Mediterraneo.